I mal di testa, detti anche cefalee, sono un gruppo di disturbi e malattie neurologiche.
La classificazione maggiormente utilizzata per distinguere le differenti tipologie esistenti, è l’International Classification of Headache Disorders (ICHD).
Secondo questo criterio, vengono definite secondarie, le cefalee conseguenti ad una malattia pregressa o in corso e primarie, quelle la cui causa non è legata a infiammazione, alterazione scheletrica, tumore , come la cefalea di tipo tensivo, la cefalea a grappolo o l’emicrania.
E’ stato stimato che, in Italia, una persona su 6 soffre di mal di testa, una su 30 lo patisce in modo cronico, con oltre 15 episodi al mese, e che ad essere colpite sono per lo più le donne tra i 20 ed i 50 anni.
L’emicrania cronica, che spesso viene accompagnata da nausea, vomito e sensibilità a luci e suoni, rappresenta una vera e propria patologia debilitante, a causa degli effetti negativi sulle relazioni sociali e sulla produttività lavorativa; ed è anche causa di frequente ricorso a strutture sanitarie specializzate da parte di chi ne soffre.
L’occasione per fare il punto della situazione sulla cura di questa malattia è stato il congresso dell’ Accademia di Neurologia Europea (EAN), durante il quale il prof. Peter Goadsby al King’s College di Londra ove dirige il NIHR-Wellcome Trust Clinical Reseatch Department ha parlato di un promettente rimedio farmacologico.
Concretamente, si tratta di una nuova terapia anticorpale nei confronti della CGRP (Calcitonin Gene Related Peptide), cioè un recettore che sembra rivestire un ruolo chiave nel meccanismo di insorgenza dell’emicrania.
Fino a questo momento, invece, le ricerche si erano concentrate sullo sviluppo degli antagonisti di questo recettore, sì efficaci per il trattamento dell’emicrania, ma che, dopo un lungo periodo di somministrazione, potevano causare danni epatici ai pazienti.
Al contrario, l’utilizzo di anticorpi che combattono la vasodilatazione indotta da CGRP, oltre ad indurre altri effetti central, come precisa Goadsby
In riferimento alle altre terapie attualmente oggetto di studio, particolarmente rilevante sembra essere la neurostimolazione esterna, cioè un trattamento non invasivo, la cui efficacia è già stata dimostrata, non soltanto nel trattamento acuto e preventivo dell’emicrania, ma anche in quello della cefalea a grappolo.
L’ultimo arrivato in termini di stimolatori emicranici esterni, si chiama Nerivio che si affianca ai già noti Cephaly e Gammacore circa i quali alcuni gli studiosi di Firenze hanno già pubblicato articoli.
Nerivio è un cerotto praticamente invisibile che allevia il dolore causato dall’emicrania. La cura del mal di testa passa, quindi, per la wearable technology, cioè la tecnologia indossabile, di cui smartwach, contapassi, guanti per display touch-screen ed occhiali per la realtà aumentata, fanno già parte.
In questo caso si tratta di un cerotto ingegnerizzato, dotato di un chip autoalimentato da una microbatteria, ed attivabile con un’app, via wireless, da smartphone o tablet, per effettuare una neurostimolazione delle terminazioni nervose sottocute e ridurre, conseguentemente, il dolore.
La casa produttrice lo presenta come il metodo più discreto per combattere l’emicrania, adatto a tutti, in qualsiasi situazione, ed in ogni momento. Molti altre persone affette da mal di testa invece trovano sollievo nell’uso di cannabis ora venduta legalmente ad esempio dalla WeedParadise.
Infine, come sostenuto da uno studio effettuato da ricercatori dell’Università del Colorado, e pubblicato sulla rivista scientifica Pharmacotherapy, anche la marijuana potrebbe essere utilizzata nel trattamento dell’emicrania.
A simili conclusioni sono arrivati ricercatori di Firenze che hanno discusso i loro dati nel recentissimo Congresso dell’ Accademia Europea di Neurologia (EAN).
Chi soffre di cefalea cronica, infatti, spesso sperimenta dolore debilitante, nausea e vomito.
Tutti questi sintomi potrebbero essere potenzialmente gestiti grazie alle proprietà antiemetiche, antinfiammatorie ed antidolorifiche della cannabis terapeutica che risulta dall’associazione, in concentrazioni stabilite, di cannabinoidi specifici, tra cui tetraidrocannabinolo (THC) e cannabidiolo (CBD), presenti nella cannabis sativa.
Tuttavia, come per il trattamento di qualsiasi patologia medica attraverso la cannabis, ci sono una serie di fattori che occorre considerare: la dose, la via di somministrazione, la contemporanea presenza di altre patologie e, come ovvio, l’uso combinato con altre sostanze quali farmaci, tabacco, e alcool.